L’opera di Maseda, nel suo caratteristico bianco e nero punteggiato da lampi di rosa fluorescente, è ancorata alla cultura della street art con una crudezza che è puramente muscolare e metallica. Qui, la tela di 100 x 100 cm è un campo da gioco dove ombra e luce si scontrano in un’eterna pulsazione, ogni pennellata di acrilico e ogni spruzzo sono colpi inferti in una lotta per definire la forma.
Il soggetto, tratto dall’iconografia moderna, non è trattato con delicatezza; piuttosto, è una rappresentazione cruda della tecnologia e dell’umanità intrecciate. La tecnica è diretta, senza giri di parole, catturando l’essenza del personaggio con tratti tanto definiti quanto ambigui, in una dualità che Maseda gestisce senza cadere nel sentimentalismo.
Questo ritratto di Ironman non è un giocattolo da fiera, ma un guerriero d’asfalto, una creatura nata dalla schiuma di una società che idolatra la forza bruta e la tecnologia. Con ogni pennellata, Maseda strappa la tela e con ogni spruzzo di fluoro ci ricorda che anche all’interno della macchina più perfetta c’è un’umanità che sanguina, che sente.
L’opera non chiede il permesso, non chiede di capirla; esige che la si senta, che la si affronti.
Non è un’opera che cerca di compiacere, ma piuttosto di sfidare. La figura centrale, un guerriero d’acciaio, è allo stesso tempo una fortezza e una prigione, una domanda aperta sull’identità e l’autenticità nell’era della riproduzione meccanica. Maseda non usa mezzi termini; il suo messaggio arriva con la forza di un pugno chiuso, un grido in faccia all’osservatore.
